Terre rare: gli Stati Uniti hanno una strategia per aggirare la Cina

Di fronte al dominio schiacciante della Cina sul mercato strategico delle terre rare, gli Stati Uniti stanno elaborando un’audace controffensiva. Anticipando possibili restrizioni alle esportazioni cinesi, Washington sta ora valutando di rivolgersi alle profondità dell’Oceano Pacifico, un piano B volto a garantire il proprio approvvigionamento di minerali critici attraverso l’estrazione mineraria sottomarina. Le profondità oceaniche, in particolare la zona Clarion-Clipperton, nascondono noduli polimetallici eccezionalmente ricchi di metalli ambiti: nichel, cobalto, rame, manganese e varie terre rare. Questi elementi sono fondamentali per industrie all’avanguardia come le batterie per veicoli elettrici, i componenti per turbine eoliche, l’elettronica di consumo e le attrezzature militari. Queste riserve sottomarine potrebbero potenzialmente superare molte riserve terrestri messe insieme, offrendo una prospettiva di autosufficienza allettante per Washington.

Notevoli ostacoli giuridici e diplomatici

La strategia americana si scontra tuttavia con importanti sfide normative. La gestione delle attività minerarie nelle acque internazionali è di competenza dell’Autorità internazionale dei fondi marini, istituita nell’ambito della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare. Tuttavia, gli Stati Uniti non hanno mai ratificato questa importante convenzione, il che indebolisce la loro capacità di concedere legalmente licenze di sfruttamento. Agire unilateralmente rischierebbe di provocare una levata di scudi da parte della comunità internazionale.

La scelta del Pacifico non è casuale. Oltre alla sua comprovata ricchezza geologica, è una zona in cui la Cina è già un attore di primo piano, con diversi contratti di esplorazione e investimenti massicci nella ricerca abissale. Il Pacifico appare quindi come un nuovo fronte della competizione economica, tecnologica e potenzialmente militare tra le due superpotenze.

Le preoccupazioni ambientali al centro del dibattito

Al di là delle questioni geopolitiche, lo sfruttamento minerario dei fondali marini solleva profonde preoccupazioni ecologiche. Gli ecosistemi abissali, di cui l’80% è ancora inesplorato, sono unici e fragili. Gli scienziati mettono in guardia sui rischi di impatti irreversibili: distruzione di habitat, perturbazione delle specie, risospensione di sedimenti potenzialmente tossici. Di fronte a queste incertezze, molti paesi chiedono una moratoria, almeno fino all’istituzione di un quadro normativo solido basato su conoscenze scientifiche approfondite.

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